Testo di una mia intervista apparsa su Inforpime (una rivista interna del Pime) nell’ottobre 2011. 

 

Approfittando del suo passaggio a Roma per partecipare all’incontro del Consiglio Generale dell’Economia, Inforpime ha fatto qualche domanda a p. Natale Brambilla. 

1. Puoi presentarti brevemente?

Classe 1963, sono nato e cresciuto in un paesello del Lecchese, a due passi dalla Grugana. Mi sono diplomato ragioniere mentre lavoravo nella piccola ditta della famiglia.

Nell’aprile 1983 ho partecipato ad un Girmi (Giorni di Ricarica Missionaria) a Sotto il Monte, ed è stata la svolta della mia vita: sono rimasto fulminato dall’Amore di Dio, ho sentito la chiamata ad essere missionario e da allora il Pime è diventata la mia nuova famiglia.

Dopo il seminario a Monza e Milano, e l’ordinazione nel 1990, ho lavorato per più di 7 anni nell’animazione vocazionale e missionaria a Sotto il Monte. Poi, nel 1999 l’arrivo in Bangladesh, dove ho però vissuto alcune difficoltà. L’anno dopo difatti ero già in Brasile sud, la missione dove mi trovo tutt’ora.

2. Dici che sei rimasto “fulminato” dallAmore di Dio. Potresti spiegare un po nei dettagli cosa è successo?

Durante quei tre giorni passati a Sotto il Monte ho incontrato dei giovani della mia stessa età, ma che avevano qualcosa in più, una luce negli occhi che veniva da una presenza visibile di Dio nella loro vita. Sono rimasto molto colpito, trasformato, contagiato. A toccarmi non è stata l’una o l’altra testimonianza, ma il rapporto di amore reciproco che c’era fra loro. Si trattava di una fede nuova, per così dire “viva”, che non avevo sperimentato prima. Volevo scoprire cosa ci stava dietro, ma soprattuto volevo vivere anch’io così! Ne ho parlato al padre animatore del Pime che organizzava quegli incontri. Con lui ho iniziato un cammino di ricerca che mi ha portato ad entrare in seminario.

3. Qualche parola sulla tua esperienza di animazione in Italia

Sono stati anni entusiasmanti, vissuti con grande intensità e sacrificio. Eravamo piuttosto criticati, noi animatori in quell’epoca. Era ormai passata l’onda di grandi animatori Pime degli anni precedenti (veri e propri “mostri storici” – penso a Girardi e Crotti, solo per citarne alcuni) e già da un certo tempo si faticava a trovare un nuovo stile. 

Ma non ci è mai mancato l’appoggio, neppure da parte di chi ci guardava con perplessità. Quindi abbiamo lavorato a tutto campo, con disponibilità di tempo e mezzi e con grande libertà di azione, potendo inventare e creare cammini nuovi. Questo mi ha dato la possibilità di scoprire qualità che nemmeno io sapevo di avere, e di metterle a servizio dell’animazione. Pur con varie difficoltà, posso dire che è stato per me un periodo estremamente gratificante. 

4. Parli di “critiche”, di “perplessità” e di “difficoltà”. Potresti spiegare un po?

Si. In quegli anni si percepiva che il modello di animazione centrato soprattutto sul racconto missionario, sulla figura eroica dell’evangelizzatore, da solo non funzionava più. Non faceva presa sui giovani, soprattutto dal punto di vista vocazionale. Per questo, gli animatori che mi avevano preceduto (5-10 anni prima) avevano cercato coraggiosamente cammini differenti. Così sono nati il Girmi a Sotto il Monte, il cammino vocazionale di Villa Grugana, Giovani e Missione, l’ALP… Più avanti, il Cammino Biblico, i pellegrinaggi estivi a piedi, ecc. Alcune attività erano già presenti e le abbiamo continuate, altre le abbiamo inventate da zero. 

La direzione comunque era chiara: occorreva accompagnare di più, e personalmente, il giovane in ricerca vocazionale, senza dare per scontato il substrato di fede che la cultura in trasformazione stava rodendo vertiginosamente. Si è imparato che era necessario “perdere tempo” con l’accompagnamento, soprattutto con la direzione spirituale.

Tutto questo chiaramente suscitava perplessità, principalmente perchè… i frutti vocazionali non erano copiosi come nel passato. Ma la colpa non era il metodo nuovo o la “perdita del carisma missionario” (come alcuni grandi animatori del passato affermavano). Anzi, le nuove vie erano un tentativo di rispondere ad una realtà in rapida trasformazione che, di per sè (e non per colpa nostra!) non favoriva le vocazioni ad vitam.

Mi sembra di poter dire che il tempo ha dato ragione alle intuizioni dei miei più vicini predecessori, che hanno inziato questi nuovi percorsi.

5. E poi è venuta la missione. Cosa ci puoi dire?

Dopo il breve periodo in Bangladesh, l’8 maggio 2000 sono arrivato a S. Paulo, Brasile sud. Per uno che, come me, aveva sempre sognato l’Asia, l’ad gentes “puro”, devo dire che all’inizio non è stato facile accettare di essere in Brasile. Mi guardavo attorno con perplessità, vedevo in ogni angolo una chiesa cristiana, un segno religioso, la gente che ripeteva “se Deus quiser!” (se Dio vuole)… insomma, la prima reazione è stata quella di chiedermi: “Ma cosa ci faccio io qui? Questi non hanno bisogno di me!”

Ma è bastato cominciare a seguire i nostri padri nelle favelas di S. Paulo, per vedere che la realtà era un’altra. Il nostro popolo era si, cristiano, nel senso di battezzato. Ma poi… mancava tutto il resto. 

L’immagine chiara mi è venuta una domenica, leggendo il Vangelo durante la Messa: “…erano come pecore senza pastore.” Terminata la lettura, ho alzato gli occhi e ho guardato alla povera gente che stava riunita nella cappella S. Miguel Arcanjo della favela della Represa. Ho sentito, nel silenzio dei loro sguardi, l’attesa di una parola su Dio, di una luce di fede sulla loro vita… e ho capito. Erano proprio come pecore senza pastore, che aspettavano qualcuno che le portasse a Dio. 

Ma era anche un popolo incerto: se al mio posto ci fosse stato un farabutto, probabilmente lo avrebbero seguito con la stessa docilità. Ho capito improvvisamente l’urgenza e la preziosità di quest’opera di direzione.  Allora mi sono sentito al mio posto, anche e proprio come missionario.

6. Alcuni di noi ritengono il Brasile, nel Pime, una missione di “serie B”, per non essere così ad gentes come altre, e perchè il Pime ha fatto la scelta preferenziale per lAsia…

È vero. Proprio alcuni giorni fa, a Milano, ho invitato un confratello a venire a lavorare in BRS. Risposta rapida: “no, grazie, il Pime è per l’Asia!” Mi ha fatto sorridere, ma lo rispetto. 

Quando, ancora in Bangladesh, ho confidato ad un amico che probabilmente sarei stato destinato in BRS, ha esclamato: “Ah no, io non ci andrei, non sono mica entrato nel Pime per correre dietro a una truppa di bambini di strada!” Neanch’io – ho pensato subito. E di fatto sinora non mi è mai successo…

Penso che questo sia l’errore di chi il Brasile non lo conosce, o, perlomeno, non conosce il lavoro che il Pime fa in questa missione.

Proprio lo scorso anno, nella nuova missione del Nordest dove mi trovo, e dopo più di 10 anni di Brasile, in una cappella dell’interno mi sono trovato a dover insegnare le risposte della Messa. Ossia, il popolo era lì, davanti a me, voleva pregare e partecipare, ma nessuno gli aveva ancora insegnato come… Ho dovuto fermarmi e dire: “adesso ripetete con me: Santo, Santo, Santo…”

Mi chiedo quanti dei miei compagni di seminario, in Bangladesh o Filippine, hanno avuto la grazia di poter fare questo, personalmente, nella loro vita missionaria. 

E non è solo una realtà dell’interno, o del nordest povero: nella parrocchia di S. Paolo dove ho lavorato per 6 anni, siamo arrivati ad avere 30 battesimi di adulti per anno. 

Possiamo dire che se il nostro non è un lavoro di primo annuncio, sicuramente è di evangelizzazione. Inoltre, ci sono i famosi punti 2 e 3 del primo articolo delle nostre Costituzioni, che dicono che il nostro carisma consiste anche nell’aiutare la chiesa locale a diventare missionaria. Beh, in questo senso il Pime qui eccelle, con riviste, corsi, etc. 

La missione stessa in cui mi trovo attualmente ha questo scopo: aiutare la chiesa locale a diventare sempre più missionaria, aprendosi all’ad gentes e ad extra.

7. Comè la “temperatura” della missionarietà “ad extra” nella chiesa brasiliana oggi?

Piuttosto bassa, mi sembra. Chiaro, il Brasile è enorme e ci sono grandissime differenze fra una diocesi dell’interno della Bahia e una del Rio Grande do Sul. Ma, in genere, qui l’idea tipica di missione è andare in Amazzonia.  Siamo ancora lontani dall’idea e urgenza di uscire, di andare ad gentes e soprattutto ad extra. In questo senso però la Conferenza di Aparecida (il V incontro dei vescovi dell’America Latina, realizzato nel 2007) ha dato un impulso notevole, e sta creando, poco a poco, la coscienza e il dovere di essere “discepoli missionari di Cristo”. 

Per questa ragione, sento che la nostra presenza, come Pime, è sempre più ricercata e apprezzata: vogliono ascoltarci, vogliono indicazioni e aiuto da noi che abbiamo nella missione il centro della nostra stessa vocazione.

8. Cosa ti ha insegnato la missione? Qualche fatto…

Ha cambiato in parte la mia fede e il mio modo di essere padre.

Cito spesso un episodio degli inizi, che è diventato anche un raccontino, visto che mi piace scrivere. 

Un giovane donna incinta mi riceve in casa per una benedizione e, quando mi vede, rimane molto emozionata  perchè per la prima volta un Padre entra nella sua casa. Io quasi mi metto a ridere e dico che sono solo un uomo… Ma lei, seduta sul suo divano povero, un po’ ansimando dietro al suo pancione, dice quasi tra sè: “Ma non c’è scritto nel Vangelo ’chi accoglie voi, accoglie me’? Per me, oggi Dio è entrato nella mia casa.” Sono rimasto in silenzio e ho dato la benedizione. Ho capito che la sua fede era molto più semplice ma, credo, più grande della mia. Una fede diretta, senza fronzoli, più immediata e pura. 

Il secondo fatto è dello scorso anno. In una cappella dell’interno, dopo un funerale stiamo salendo ripidamente verso il cimitero, sotto un sole terribile. I poveri uomini che caricano la cassa sono sudatissimi, devono fermarsi più volte. Io davanti guido il rosario, con le donne che rispondono dietro al defunto. Ad un certo punto però ho compassione e mi avvicino per aiutare a portare la bara. Voglio fare la mia parte! La risposta è rispettosa e umile, ma ferma: “Padre, lei preghi, che al morto ci pensiamo noi!” Poi aggiunge con uno sguardo quasi implorante: “Preghi anche per me, quando sarà il mio momento!”. 

Ho capito. Dal padre, la gente si aspetta prima di tutto che preghi, non che carichi una bara…

9. Oggi è più difficile trovare ragazzi e giovani interessati alla vocazione missionaria. Si sentono molte spiegazioni: cè chi dice che i giovani animatori, pur bravi, non avendo avuto esperienza di missione, non ne sanno comunicare la passione. Altri trovano altre ragioni. Tu come la vedi? 

Ci sono molte spiegazioni, e tutte hanno una parte di verità. Non credo, però, che l’esperienza di missione sia imprescindibile per essere un buon animatore vocazionale. Da quanto ho visto, direi che l’animatore giovane riesce molto meglio a parlare ai giovani di chi, magari dopo un’esperienza “di successo” in missione, torna pieno di entusiasmo, ma ha perso le coordinate culturali e non riesce ad esprimere la ricchezza della sua esperienza in termini interessanti per i giovani. 

Ma in definitiva, direi che quel che veramente serve è saper fare animazione, avere cioè una certa predisposizione per questo lavoro. Un animatore con talento, lo è prima, durante e dopo l’esperienza di missione. 

Riguardo la difficoltà nel trovare vocazioni, aggiungo un elemento critico: è un po’ comodo scaricare sugli animatori la colpa, mentre ci si dimentica spesso che la brutta testimonianza che a volte diamo, spesso indirettamente, ma efficacemente, è straordinariamente distruttiva. Un’auto lussuosa, una frase di critica a un confratello, un saluto scorbutico, possono spazzar via un germoglio di vocazione che il Signore ha messo nel cuore di un giovane. È un germoglio, è fragile, ha bisogno di un ambiente favorevole per crescere…

10. Cosa vorresti dire ai confratelli giovani che potrebbero essere destinati al Brasile?

Che vengano senza paura! Il Brasile è come una grande mamma, che accoglie tutti a braccia aperte. Inoltre, credo sia una delle missioni più… versatili del Pime: vuoi lavorare nella pastorale ordinaria? Si può. Vuoi lavorare con gli universitari? Si può. Vuoi lavorare con le prostitute? Si può. Con i giovani? Con i senza terra? Nella stampa? Nell’animazione vocazionale? Si può! Vieni e vedrai.

11. Non hai ancora 50 anni, sei più o meno “nel mezzo del cammin” della tua vita. Te la sentiresti di fare una specie di bilancio della tua vita di missionario, di dire qualcosa a Dio su quanto ti ha dato sinora?

A Dio, dico grazie. Quando ho risposto di si alla sua chiamata, sapevo che stavo cominciando un’avventura imprevedibile, ma non avrei immaginato tanta ricchezza di fatti, esperienze, e soprattutto persone. Si, credo che la bellezza più grande siano le persone che Dio mi ha fatto (e mi farà) incontrare, qua e là per il mondo, il cui cammino di fede si è intrecciato col mio. Vedere l’opera di Dio nel cuore delle persone è quanto di più affascinante ci possa essere. 

12. Per concludere, hai detto che ti piace scrivere. Cosa pensi di Inforpime?

Confesso che è la rivista Pime che più leggo! È un bellissimo strumento di condivisione interna. Mi piace soprattutto quando leggo esperienze e opinioni dei nostri. Mi fanno riflettere, a volte arrabbiare, ma sempre rimango arricchito. 

Avanti, dunque, e grazie! 

Natale Brambilla